I Metodisti e la questione dello schiavismo

John Wesley, fondatore del metodismo, aveva espresso chiare idee di condanna riguardo allo schiavismo in un volumetto di 28 pagine intitolato Pensieri sulla schiavitù (Wesley 1774), e questa fu una delle ragioni per cui oltreoceano il metodismo ottenne larghi consensi anche tra le persone di colore. Inoltre la religione metodista trasmetteva un messaggio facile da comprendere ed esperire: accettava le intuizioni, i sogni profetici e le visioni come messaggi divini, e come detto ammetteva le persone di colore al ruolo di esortatori e predicatori (Wigger 2001).

La posizione abolizionista venne abbracciata dal summenzionato Francis Asbury, uno dei padri del metodismo in America, mandato a predicare nel Nuovo Mondo da John Wesley nel 1771 e ordinato vescovo nel 1784. Tuttavia, negli Stati Uniti post-rivoluzionari la questione dello schiavismo si rivelò inestricabilmente legata alla politica: in diversi stati del Sud molti bianchi erano convinti della necessità di mantenere lo schiavismo per sostenere l’economia basata sulle piantagioni, per questo motivo le idee abolizioniste venivano considerate pericolose e sovversive. I bianchi vivevano spesso nella paura per il timore di insurrezioni. Pertanto in diversi Stati i pastori metodisti che si schieravano per l’emancipazione degli schiavi venivano considerati fanatici e seminatori di scontento e discordia.

Il tentativo di far approvare unanimemente la regola che vietava ai metodisti di comprare o possedere schiavi, pena l’espulsione dalla congregazione, condusse quasi a uno scisma nel 1785. Molti difendevano la schiavitù sostenendo che fosse sempre esistita, citando il Vecchio Testamento nel quale veniva riportato come gli israeliti rendessero impunemente schiavi i loro nemici. Specialmente al Sud, i pastori metodisti che interrompevano la predicazione itinerante e si insediavano in una chiesa spesso acquistavano o ereditavano degli schiavi. Nel 1804 la Conferenza sospese le direttive sulla schiavitù per i territori a sud della Virginia: vennero stampate due diverse versioni della Disciplina, un fatto che si ripeté nel 1808. Le conferenze dei singoli Stati potevano quindi decidere come meglio regolarsi sulla cosiddetta “istituzione peculiare”. In seguito a queste discussioni, tuttavia, un piccolo numero di metodisti decise di emancipare gli schiavi che possedeva e molti altri preferirono emigrare più a nord, non sopportando di vivere in una terra in cui venivano calpestati i diritti inalienabili dell’uomo (Mathews 2015).

Nel 1816, l’anno in cui morì Asbury, la Conferenza concluse che, date le circostanze, i metodisti potevano fare ben poco per abolire una pratica che, pur essendo contraria ai principi della giustizia morale, era sancita dalla legge vigente e regolata dal codice civile in diversi Stati. Benché molti pastori itineranti continuassero a predicare l’abolizionismo, in alcuni luoghi cominciò a diventare pericoloso esprimere queste opinioni in pubblico.
Si ricorda per esempio il caso di un predicatore della Pennsylvania, metodista anziano partecipante a un camp meeting tenuto nel Maryland nel 1818, che asserì di fronte a 3000 bianchi e 400 neri che la schiavitù non era soltanto contraria alla Dichiarazione d’indipendenza, ma anche pericolosa per la pace della società. Venne incriminato per aver dolosamente cercato di disturbare la tranquillità, l’ordine costituito e il governo dello Stato del Maryland, mettendo in pericolo l’incolumità e i beni materiali di molti dei suoi cittadini. Anche se alla fine non si giunse a una condanna, la Conferenza metodista di Baltimora esortò i predicatori a usare maggiore cautela (Mathews 2015).
Questi eventi riflettevano un problema profondo che il Congresso degli Stati Uniti cercò di affrontare nel 1820 ratificando il compromesso del Missouri: allo scopo di mantenere l’equilibrio fra gli stati cosiddetti liberi e quelli che permettevano la schiavitù, venne sancita l’ammissione del Missouri come stato schiavista, e contemporaneamente venne accettato il Maine come nuovo stato libero. Contestualmente si impose l’inammissibilità della schiavitù a nord della linea che passava lungo il confine meridionale del Missouri (latitudine 36°30′), con l’eccezione del Missouri stesso (Mathews 2015).

Negli anni successivi, con l’intento di arginare le fughe e controllare le rivolte, gli stati del Sud inasprirono molte norme, rendendo sempre più difficile l’emancipazione degli schiavi. Solo a titolo di esempio, si ricorda la presunta ribellione organizzata da Denmark Vesey, pastore dell’African Methodist Church, soffocata sul nascere nell’anno 1822 nella Carolina del Sud: Vesey, accusato di voler coinvolgere seimila cospiratori, venne impiccato e 37 afroamericani furono condannati a morte. Un’altra insurrezione ebbe luogo nel mese di agosto del 1831, quando uno schiavo africano alfabetizzato di nome Nat Turner guidò una rivolta in Virginia nella quale rimasero vittime 57 bianchi, e per rappresaglia vennero uccisi 200 schiavi (Hudson 2006).
Al Sud i metodisti venivano considerati con sospetto, anche se schierati contro l’abolizionismo e impegnati a salvare le anime degli schiavi. Secondo i padroni delle piantagioni, insegnare il vangelo ai neri poteva favorire le insurrezioni: per ottenere il permesso dai proprietari e poter predicare, i metodisti cercavano di convincerli che avrebbero forgiato schiavi più mansueti e obbedienti, disposti a una vita di sofferenze pur di avere in premio il regno dei cieli (Morris-Chapman 2019).

All’interno della congregazione metodista non vi era una visione unanime: i religiosi della MEC, pur considerando la schiavitù un crimine, erano ben lungi dal sostenere l’eguaglianza razziale e avevano sempre concentrato il potere nelle mani dei bianchi, mettendo in atto forme di paternalismo, segregazione sociale e discriminazione liturgica nei confronti degli afroamericani: ciò portò nel 1822 alla fondazione ufficiale dell’African Methodist Episcopal Zion Church a New York, e di altre congregazioni metodiste formate da persone di colore. Nel tentativo di conciliare la loro posizione contraria allo schiavismo con il problema della convivenza civile con gli schiavi emancipati, molti metodisti ritennero che la migliore soluzione fosse rinviarli nella patria di origine. A tale scopo nel 1916 venne fondata l’American Colonization Society grazie alla quale un certo numero di neri americani riuscì ad arrivare in Liberia – l’iniziativa tuttavia non ebbe il successo sperato perché molti ex schiavi preferirono restare in America, che non solo era la loro patria ma offriva condizioni di vita migliori di quelle della colonia. I metodisti favorevoli a un’emancipazione immediata erano una minoranza, considerata fanatica al Nord e sovversiva al Sud.

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Silvia Tuscano

editor

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