2. Il Metodismo in America

L'impetuosa ascesa della fede metodista negli USA, pur se afflitta da controversie intestine, diffuse capillarmente i principi cristiani grazie ai predicatori itineranti - che si spingevano a cavallo fino alle fattorie più remote - e agli esaltanti raduni per convertire nuovi fedeli. Abram Still, padre del fondatore dell'osteopatia, fu un medico ortodosso, divenne pastore metodista e si schierò con la fazione abolizionista, trasmettendo ai figli il rigore e i valori di questa confessione.

Il metodismo in America divenne sempre più popolare dopo la rivoluzione americana e si staccò gradualmente dalle radici britanniche. Nel 1784 Wesley acconsentì a concedere maggiore libertà alle congregazioni, che poterono ordinare nuovi predicatori con la facoltà di somministrare i sacramenti. Venne così fondata la Chiesa episcopale metodista (Methodist Episcopal Church, MEC), indipendente da quella britannica, presieduta per 45 anni da Francis Asbury, instancabile predicatore che percorse più di 400.000 chilometri e tenne 17.000 sermoni. Asbury si alzava alle quattro o alle cinque di mattina, pregava per un’ora prima di cominciare la giornata e digiunava il venerdì. Non si interessò mai alle cose terrene, sostenendo che il predicatore metodista aveva bisogno soltanto di un cavallo, una sella, una briglia, un ricambio di vestiti, una Bibbia tascabile, un libro di inni, forse un orologio e, se necessario, un paio di occhiali (Richey et al. 2012).

Fra i metodisti non mancarono le controversie intestine, a titolo di esempio si ricorda solo la fondazione nel 1792 della Republican Methodist Church a opera di James O’Kelly, un pastore itinerante nato in Irlanda. Antischiavista, anti-britannico e anti-episcopale, veterano della guerra contro gli inglesi, O’Kelly mal sopportava l’autorità della Chiesa episcopale metodista e soprattutto il potere che questa si era arrogata di assegnare i pastori itineranti a un determinato circuito anche senza il loro consenso (Hempton 2005).
Ben 500.000 anime risultavano convertite al metodismo nel 1830 (Richey et al. 2012), e la Chiesa episcopale metodista mantenne anche oltreoceano la medesima struttura rigidamente organizzata istituita in Gran Bretagna: una conferenza annuale agiva sotto la supervisione dei vescovi e sovrastava i vari distretti presieduti dagli anziani, a loro volta divisi in circuiti e società controllate dai predicatori itineranti, a cui facevano capo gruppi formati da una dozzina di persone (classi), capeggiati ciascuno da un responsabile locale.

In una nazione giovanissima, con una popolazione in aumento esponenziale e un consumo di alcol pro capite che tra il 1800 e il 1830 sfiorava i venti litri a testa all’anno, il metodismo conquistò anche una classe media di mercanti e artigiani ambiziosi, con realistiche aspettative di uno sviluppo migliorativo mirato a incoraggiare le iniziative individuali, l’ottimismo e l’innovazione.
Nonostante enormi folle si radunassero per assistere ai sermoni dei predicatori, non tutti gli ascoltatori aderivano al movimento. La conversione, spesso caratterizzata da una visione importante o da una potente esperienza mistica ricevuta durante la preghiera, era comunque una vocazione che andava poi mantenuta giorno per giorno. Chi diventava predicatore doveva dare precedenza assoluta alla chiesa, anche rispetto alla sua stessa persona e alla famiglia. Gli adepti dovevano conformarsi alle norme restrittive della vita santa (per esempio: “Sii diligente. Non restare mai senza far niente. Non dedicarti mai a cose di poco conto. L’inoperosità è incompatibile con la crescita nella grazia”) e adattarsi al controllo reciproco che i membri esercitavano l’uno verso l’altro. A ciò si aggiungeva l’obbligo di partecipare agli incontri settimanali dei piccoli gruppi, durante i quali i responsabili sottoponevano a esame critico le opere spirituali e temporali di ciascuno dei partecipanti.

Le donne erano un pilastro importante del metodismo, e il loro impegno era fondamentale quanto quello maschile. Non a caso la rappresentanza femminile tra i fedeli si attestava fra il 57 e il 66%. Anche se quasi mai veniva loro permesso di predicare, le donne avevano la facoltà di fare esortazioni (cioè di raccontare la propria esperienza religiosa) e provvedevano a istituire e mantenere il metodismo nelle loro comunità in modo autonomo. Organizzavano attività come pregare in pubblico, convocare incontri, cantare inni, leggere ad alta voce i sermoni di Wesley. Inoltre il ruolo delle donne, e specie delle vedove, fu impagabile nell’offrire ospitalità, consigli e sostegno ai giovani predicatori itineranti: assumevano nei loro confronti il ruolo di una madre o una sorella maggiore. Le donne più abbienti predisponevano gli incontri nelle loro case (Wigger 2001).

I pastori itineranti metodisti erano entusiasti del loro ruolo come missionari, e sentivano la responsabilità di evangelizzare quante più anime potevano, tanto da rendere proverbiale, in caso di cattivo tempo, il motto “Oggi non c’è in giro nessuno, a parte i corvi e i predicatori metodisti.” A ciascun pastore veniva assegnato un circuito, che normalmente poteva essere percorso a cavallo in circa sei settimane, con l’incarico di fornire assistenza spirituale e medica ai residenti. Era una vita rude e avventurosa, ma grazie alla rete di solidarietà metodista i ministri itineranti venivano spesso ospitati dalle famiglie, anche se poteva capitare che dovessero dormire all’addiaccio (Wigger 2001).

 

Oltre a dedicarsi alla predicazione itinerante e rispettare le regole e le ore quotidiane previste per la preghiera e la lettura dei testi sacri, a cominciare dagli inizi dell’Ottocento i ministri metodisti cercarono di diffondere la loro dottrina a sempre nuove anime organizzando grandi raduni di preghiera, che presero il nome di camp meeting. Erano una sorta di festival religiosi che perduravano diversi giorni e si tenevano nella bella stagione in accampamenti appositamente allestiti secondo regole molto precise (Richey et al. 2012).

Si cominciava definendo una grande recinto circolare, delimitato da ramaglie, all’interno del quale venivano montate le tende. Era previsto uno spazio centrale, riservato all’adorazione di Dio, generalmente un poco rialzato. Le attività venivano regolate in modo preciso: all’alba un incaricato faceva il giro del campo, annunciando con una tromba l’inizio dei canti e delle preghiere che ciascuno recitava nei pressi della propria tenda; quando sorgeva il sole un ministro teneva un sermone, poi si faceva colazione. Le predicazioni riprendevano alle 10, intervallate da canti religiosi, con interruzioni per il pranzo e la cena; dopo questo pasto, che avveniva al tramonto, si ascoltavano altri sermoni. L’atmosfera di fervida adorazione veniva intensificata dall’illuminazione notturna con fuochi, lampade e candele. L’ultima mattina prima della partenza, i ministri formavano una processione e cominciavano a fare il giro del campo. I fedeli si aggregavano e tutti insieme marciavano così incolonnati, finché a un certo punto i ministri si fermavano e intonavano un solenne canto d’addio: uno per uno i partecipanti passavano davanti a loro, stringendo loro le mani e pronunciando gli arrivederci.

Non tutti i metodisti erano favorevoli a questo tipo di eventi, dove le persone non riuscivano a contenersi e si abbandonavano a comportamenti sopra le righe che alcuni trovavano offensivi. Altri erano invece favorevoli a queste attività, che consideravano propizie alla manifestazione dello Spirito Santo. Dopo aver intonato i canti, spesso adattati su melodie di vecchie canzoni, molte persone del pubblico venivano prese da una sorta di frenesia e cominciavano a saltare, ballare, gridare, agitarsi, sovente gettandosi a terra per chiedere perdono o cadendo tramortiti in una sorta di stupore o in preda alle convulsioni. Questi fenomeni erano propedeutici a esperienze di conversione, santificazione e vocazione (Taves 2007).

John Wesley, fondatore del metodismo, aveva espresso chiare idee di condanna riguardo allo schiavismo in un volumetto di 28 pagine intitolato Pensieri sulla schiavitù (Wesley 1774), e questa fu una delle ragioni per cui oltreoceano il metodismo ottenne larghi consensi anche tra le persone di colore. Inoltre la religione metodista trasmetteva un messaggio facile da comprendere ed esperire: accettava le intuizioni, i sogni profetici e le visioni come messaggi divini, e come detto ammetteva le persone di colore al ruolo di esortatori e predicatori (Wigger 2001).

La posizione abolizionista venne abbracciata dal summenzionato Francis Asbury, uno dei padri del metodismo in America, mandato a predicare nel Nuovo Mondo da John Wesley nel 1771 e ordinato vescovo nel 1784. Tuttavia, negli Stati Uniti post-rivoluzionari la questione dello schiavismo si rivelò inestricabilmente legata alla politica: in diversi stati del Sud molti bianchi erano convinti della necessità di mantenere lo schiavismo per sostenere l’economia basata sulle piantagioni, per questo motivo le idee abolizioniste venivano considerate pericolose e sovversive. I bianchi vivevano spesso nella paura per il timore di insurrezioni. Pertanto in diversi Stati i pastori metodisti che si schieravano per l’emancipazione degli schiavi venivano considerati fanatici e seminatori di scontento e discordia… continua a leggere

L’aumento del numero di schiavi che fuggivano e l’esistenza di leggi che obbligavano gli stati non razzisti a restituirli ai legittimi proprietari contribuì al rafforzamento della leggendaria Underground Railroad, o ferrovia sotterranea. Si trattava di una rete capillare di persone solidali, comprendente numerosi metodisti, che già dai primi anni dell’Ottocento offrì supporto logistico per aiutare gli schiavi in fuga a raggiungere il Canada, dove sarebbero stati al sicuro.

 

Nel 1832, la Conferenza dei metodisti decise di accantonare la questione dello schiavismo, sostenendo che non fosse di competenza religiosa ma appartenesse alla sfera politica. Rimasero tuttavia alcune questioni aperte, per esempio se gli schiavi avessero diritto alla libertà di culto e se fosse lecito che molti metodisti del Sud possedessero manodopera non libera. L’abolizionismo si trasformò così in una crociata alla quale aderivano persone considerate fanatiche e sovversive, ma che ciononostante conobbe notevole espansione, alimentata anche dalla mancanza di misure concrete a favore di una graduale abolizione dello schiavismo. Il dilagare di opuscoli, libretti e riviste che diffondevano queste idee provocarono gravi preoccupazioni negli stati del Sud, che temevano le insurrezioni degli schiavi.

La Conferenza generale della MEC tenuta nel 1836 a Cincinnati raccomandò “prudenza e saggezza” e ribadì la sua “decisa opposizione al moderno abolizionismo”, dichiarando di non avere alcuna intenzione di interferire nel rapporto civile e politico tra il proprietario e lo schiavo negli stati dell’Unione dove questo esisteva ed era regolamentato dalla legge (Morris-Chapman 2019). Tale presa di posizione era condivisa anche dai principali rappresentanti delle altre denominazioni religiose, inclusi i battisti, i quaccheri (contrari alla violenza), gli episcopali, i presbiteriani ei cattolici romani (Mathews 2015). Si trattava di un atteggiamento conservatore, basato sull’idea che le persone di colore, pur se meritevoli di carità, fossero comunque aliene alla società americana. Vi era inoltre il desiderio di mantenere in essere le missioni che convertivano gli schiavi e la società per la colonizzazione, nonché l’ordine sociale.

Le fila degli abolizionisti però continuarono a ingrossarsi, dando origine a discussioni intestine sempre più violente. All’interno del metodismo si formarono tre fazioni: i conservatori nordisti che speravano di mantenere l’unità della chiesa, la minoranza degli abolizionisti nordisti e i metodisti del Sud. La Conferenza generale che si tenne a Baltimora nel 1840 confermò la riluttanza dei metodisti a immischiarsi nelle questioni politiche, esortando i membri della congregazione a concentrarsi sull’insegnamento di una vita votata alla morale e alla santità. La fazione abolizionista cominciò a perdere la speranza che la MEC avrebbe mai preso posizione contro lo schiavismo e negli anni successivi molti dei suoi rappresentanti la abbandonarono.

In occasione della Conferenza generale tenuta a New York nel maggio del 1844, il dibattito sullo schiavismo divenne inderogabile ed estremamente acceso: si discusse in particolare sull’opportunità di consentire a un vescovo metodista del Sud di mantenere il suo incarico anche se possedeva degli schiavi. Quando emerse un responso negativo, con 110 voti contro 69, divenne inevitabile la separazione della Chiesa episcopale metodista in due parti, quella del Nord e quella del Sud. Lo scisma venne formalizzato a partire dal maggio 1845 con la secessione dei metodisti del Sud che confluirono nella Methodist Episcopal Church, South (Chiesa episcopale metodista del Sud, MECS).

I metodisti del Sud sostenevano che fosse necessario “dare a Cesare ciò che era di Cesare” e andavano orgogliosi della loro posizione rispettosa delle leggi e delle istituzioni, del loro schierarsi in linea con le Scritture e a favore della pace. Inoltre non perdevano occasione per attaccare gli abolizionisti, accusandoli di essere “socialisti tedeschi” e “pastori politicizzati” che miravano a sgretolare le chiese (Purifoy 1966).

Già verso la fine del 1830 la MEC aveva inviato nel Kansas il reverendo Thomas Johnson affinché istituisse una missione per gli indiani Shawnee in quel territorio. L’anno successivo era stata fondata la missione dei battisti e nel 1837 quella dei quaccheri. In teoria le tre denominazioni avevano il medesimo obiettivo, tuttavia ben presto entrarono in competizione per accaparrarsi le anime da convertire. Thomas Johnson, che aveva ottime capacità amministrative, un grande senso degli affari e una notevole ambizione, fondò e diresse una scuola con annesse attività di artigianato, la Shawnee Manual Labor School, ottenendo l’approvazione della commissione metodista nel 1838, assicurandosi poi il sostegno del commissario per gli affari indiani e convincendo i capi Shawnee della necessità di tale istituto. La scuola occupava circa duemila acri, situati mezzo miglio a ovest del confine con il Missouri lungo la pista di Santa Fe. Con i suoi tre grandi edifici in mattoni che facevano da scuole/dormitori e numerose altre strutture e laboratori, la Shawnee Manual Labor School raggiunse il centinaio di studenti, superando di gran lunga le altre missioni… continua a leggere

 

Pur se primi metodisti americani avevano sostenuto che il loro regno “non era di questo mondo,” tentando in tal modo di mantenersi estranei al potere temporale, era risultato impossibile per loro ignorare diverse questioni legate alla moralità pubblica, quali per esempio l’alcolismo, le controversie relative allo sviluppo economico, l’immigrazione di un grande numero di cattolici, l’espansione territoriale e lo schiavismo. La commistione con la politica avvenne anche a causa della dimensione della congregazione metodista, che la rendeva un importante serbatoio di voti. I politici impararono molto dai metodisti dal punto di vista organizzativo, in particolare per le strategie atte a raggiungere un grande uditorio, destare e mantenere l’interesse del pubblico e sollecitarne l’entusiasmo. Molti candidati politici utilizzarono gli stessi spazi adibiti ai camp meeting per convocare raduni di tre o quattro giorni, adottando il modello che prevedeva la partecipazione al canto di inni che si intercalavano ai comizi. I toni manichei di questo tipo di propaganda lasciarono poco spazio al compromesso e alla ricerca di un comune consenso (Cawardine 2000).

I metodisti abolizionisti provenienti dagli stati liberi che giungevano nel Kansas si prodigarono per diffondere idee e informazioni in modo capillare nella popolazione. Determinati a battersi per la libertà, si scontrarono con la fazione schiavista altrettanto decisa a scacciarli. Ne emersero furono diversi episodi di violenza, indicativi della notevole tensione: un predicatore della MEC diretto a Kansas City venne intercettato da alcuni uomini che gli versarono alcol in gola e lo minacciarono di morte. Alcuni fuorilegge del Sud depredarono uno degli anziani del distretto del Kansas del Sud portandogli via tutti i beni, inclusi i cavalli. Nel Missouri si formarono comitati di vigilanza contro predicatori abolizionisti: i sudisti interrompevano le riunioni trimestrali, bloccavano l’accesso ai camp meeting, interrompevano i sermoni e li cacciavano dallo Stato. Quanto più si rafforzava la posizione dei metodisti del Nord, schierati contro lo schiavismo e favorevoli all’esclusione dalla MEC dei proprietari di schiavi, tanto più tesa si faceva la situazione nel Kansas. Un giovane ministro della congregazione del Nord venne costretto a scendere dal pulpito e, con vestiti leggeri, rispedito a cavallo nello Iowa, dove morì poco tempo dopo. A un altro reverendo venne riempita la bocca e spalmata la testa con la pece prima di lasciarlo sotto il sole cocente, e un terzo venne ucciso con un’arma da fuoco (Cawardine 2000).
Nel 1858 e nell’anno seguente le Conferenze annuali della Chiesa metodista del Nord (MEC) approvarono risoluzioni sfavorevoli alla schiavitù, pertanto i metodisti del Sud appartenenti alla MECS (che si era scissa dalla MEC nel 1844) si sentirono in pieno diritto di cacciare gli “emissari abolizionisti” dai loro territori.

Le tensioni interne fra i metodisti rispecchiavano la situazione politica: venne coniato il termine di Bleeding Kansas (Kansas insanguinato) per indicare i sanguinosi episodi precedenti alla Guerra Civile che si protrassero lungo il confine con il Missouri negli anni 1854-59, causando ingenti danni materiali e la perdita di vite umane. Il dr. A.T. Still partecipò attivamente agli scontri, schierandosi con James Henry Lane e John Brown nelle ripetute azioni di guerriglia e nelle spedizioni punitive tra le fazioni pro e contro lo schiavismo Gevitz 2019).

La violenza non rimase confinata nel Kansas: nel 1859 John Brown tentò di iniziare una rivolta in Virginia, creando una crescente paura di insurrezioni negli Stati sudisti. Nell’estate del 1860 in Texas una folla inferocita catturò e impiccò Anthony Bewely, un modesto e pacifico reverendo della MEC che predicava da trent’anni. Secondo alcuni, il fatto che i metodisti del Sud non condannarono con fermezza l’omicidio è indicativo di come la MECS non riuscisse più a distinguere quanti fra i metodisti del Nord erano fanatici abolizionisti e quanti invece erano costituzionalisti antischiavisti, favorevoli all’ordine sociale. Tuttavia occorre sottolineare che la Conferenza generale della MEC, organizzata nel maggio del 1860 a Buffalo, aveva modificato il capitolo sulla schiavitù dichiarandola contraria alle leggi di Dio e della natura, esacerbando ulteriormente il clima.

Il linciaggio di Bewely era avvenuto poco tempo prima delle elezioni e molti metodisti si schierarono a favore di Lincoln non solo per calcolo politico ma per dovere cristiano, sull’onda di un’indignazione morale: desideravano la libertà per gli schiavi, la fine degli atti di terrore a danno di uomini devoti come Bewley e un nuovo orientamento dell’Unione. I metodisti del Sud difendevano implicitamente i valori apolitici del primo metodismo astenendosi dall’intervenire nelle questioni “di Cesare,” ma di fatto proteggevano la base morale e socio-economica della civiltà del Sud (Cawardine 2000).
Il clima esacerbato sfociò nella Guerra Civile (1861-1865).

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Correnti di pensiero e principali eventi in America ai tempi di Still

3. Bibliografia del capitolo sul Metodismo

Questa pagina è una raccolta di fonti bibliografiche riferite alla corrente di pensiero del Metodismo: da John Wesley, fondatore del Metodismo in Inghilterra alle più recenti pubblicazioni riferite alla sua evoluzione negli Stati Uniti d'America e oltre.

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1. La vita di John Wesley e la nascita del metodismo

Il metodismo nacque in Inghilterra nei primi decenni del Settecento a opera di John Wesley, formatosi come pastore anglicano e poi divenuto il teologo inglese che fondò questa confessione religiosa. Wesley introdusse rigorosi riti di devozione e saldi principi teologici, sostenendo che la grazia poteva essere così ottenuta anche durante la vita terrena. Alla teoria si affiancava la pratica quotidiana mirata a fare il bene, con attenzione alla salute dei fedeli: i ministri dovevano infatti curarne non solo l'anima ma anche il corpo. A tal fine Wesley scrisse un volumetto che descriveva semplici rimedi medici alla portata di tutti.

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